Fare impresa etica è una vocazione, una chiamata alla responsabilità sociale!
L’intervista a Rossella Pezzino de Geronimo, amministratore unico Dusty e Compagna di Banco
Se sostenibilità e fare impresa etica sono (o dovrebbero essere) il filo rosso che accompagna lo sviluppo di un territorio, perché – soprattutto in Sicilia - facciamo fatica a far “esplodere” questa visione? E ancora dove si colloca, in questo gap, il tema dell’educazione alle nuove generazioni ed esiste davvero il tema dello sguardo femminile/maschile?
Abbiamo intervistato una Compagna di Banco d’eccezione, Rossella Pezzino de Geronimo, Amministratore Unico di Dusty Srl, azienda da sempre vicina a Banco Alimentare della Sicilia.
Sul nostro territorio prevale ancora uno sguardo imprenditoriale maschile?
«Svolgo il mio lavoro da 43 anni e non ho mai avuto difficoltà a confrontarmi con il mondo maschile o femminile. L’importante è avere un progetto, essere determinanti, coraggiosi, sicuri di sé. Serve costruire valore attorno al progetto, lavorare affinché questo funzioni e sia determinante per il territorio di riferimento. C’è anche un tema, che è quello della procrastinazione e che purtroppo diventa persino terreno comune del fallimento dello stesso progetto. Fare impresa vuol dire, invece, essere veloci, agire, avere la prontezza di rispondere ai bisogni in maniera creativa».
Cosa vuol dire fare impresa etica?
«L’impresa non può pensare soltanto al proprio business, le imprese devono generare responsabilità sociale. È una questione di reciprocità: ricevo dal territorio, restituisco anche bene comune. Su questo filone entra in gioco anche l’investimento che facciamo sulle risorse umane, l’accompagnamento al sentirsi parte di un progetto, appunto, che guarda al benessere complessivo di una comunità.
Bisogna avere uno sguardo attento al nostro territorio… chiederci il perché delle cose e dare risposta al come si potrebbe costruire cambiamento. Se guardiamo, ad esempio, alla fotografia che ci restituisce la Zona Industriale di Catania vediamo quanto ancora bisogna accendere lo sguardo sul perché e sul come. La Zona Industriale è diventata da tempo il centro delle industrie, ma al contempo la viabilità boccheggia, mancano servizi, le strade sono abbandonate.
Fare impresa etica è una vocazione, una chiamata alla responsabilità sociale. Tutti gli attori in campo devono fare la propria parte… un po’ come prendersi cura di un albero: serve chi si prende cura delle foglie, chi dei rami, chi del frutto per fare in modo che cresca rigoglioso. Tutto ciò rientra nel ridisegnare la qualità di vita del territorio. Fare impresa etica non è una questione di auto-referenzialità, ma di consapevolezza! La consapevolezza che innescare cambiamento vuol dire costruire contesti produttivi, positivi e di crescita».
Qual è la spinta per diffondere questa visione?
«L’educazione alle nuove generazioni è un tema centrale. Manca questo approccio nelle scuole: l’etica religiosa non è stata sostituita da quella laica e il risultato è stata la frammentazione del valore. È necessario promuovere corsi di etica alle nuove generazioni. La Comunità Europea ha emanato una normativa in cui tutti i concorsi pubblici devono essere alimentati da corsi di etica. Questo ci dà la dimensione del valore di questo tema. Noi imprenditori dobbiamo darci una smossa, troppe cose non funzionano, mancano corsi di formazione, manca la voglia e il desiderio di spostare lo sguardo verso il ruolo che agiamo. Di essere curiosi, attrattivi, agenti del cambiamento. E come costruiamo tutto questo senza accompagnare i giovani ad essere portatori di questo cambiamento?».
Che consiglio sente di dare ai giovani che vogliono fare impresa?
«Di essere appassionati, di dare senso alla propria vita, di pensare alla bellezza come un bene comune e non solo come un fatto estetico. Non si può essere imprenditori, non si può fare impresa nel senso ampio del termine – quindi costruire cambiamento – senza abbracciare la solidarietà, senza avere cura della natura e dell’ambiente, delle persone, delle comunità. Senza avere rispetto del prossimo».